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Il Bosco

 

Le Castagne

Castagne contro i lanzichenecchi

Certamente è il frutto più conosciuto del bosco. E ha rappresentato, fin quasi ai nostri giorni, la principale ricchezza e il maggior sostegno sul quale potevano confidare contadini, pastori, e quanti altri abitavano nelle zone di montagna. Per questa gente la polenta di castagne e acqua naturale erano gli alimenti di tutti i giorni, della sera come della mattina, sia per i piccoli che per i grandi. La castagna insomma nella sua millenaria storia di rapporto intenso con l'uomo e con l'intera comunità della Toscana dell'entroterra ha comportato implicazioni sociali, economiche e culturali di notevole importanza. Ha costituito la maggior fonte di ricchezza non solo per sfamarsi ma anche per la sopravvivenza di intere famiglie. E' nata così, secolo dopo secolo, una vera e propria "cultura della castagna" gia dalla lavorazione e preparazione dei terreni e attorno a questi lavori è a lungo ruotata la vita delle varie comunità. La raccolta della castagna ha rappresentato per decenni una insostituibile e provvidenziale risorsa e una buona "canniccia" era senz'altro una garanzia di sicurezza per l'avvenire. Significava pane assicurato per la famiglia. Niente andava perduto e le castagne più piccole servivano da pasto per i maiali. L'uso della castagna nella cucina familiare quotidiana è stata continua e molteplice, il suo alto valore nutritivo e l'adattabilità ad essere consumata in vari modi, anche sotto forma di farina, ha fatto si che si sviluppassero una varietà notevole di modi di poterla gustare oltre ai più conosciuti: bollita e arrosto. Intorno alla castagna si sono sviluppati negli anni numerosi proverbi, esempio: gennaio secco, castagno ogni ceppo (questo perché già da gennaio si presenta l'esito della raccolta, se gennaio è secco e freddo si auspica un auspica un buon raccolto), per Santa Maria la castagna cria ecc. Ma si sono sviluppate anche storie e sonetti. "era buona e saporita se ci crede ancor mi tocca di leccarmene le dita per sentir dolce in bocca.". Oppure "Quanti necci e farina e polente , e castagnaccio, se ne fan certe pappate da pigliare il calcinaccio…". E così continuando . " Allora i necci si facevan coi testi - raccontano alcuni anziani - una metà venivano mangiati - schietti -, vale a dire, così com'erano, l'altra con un pezzo di frittata. Quelli erano i nostri alimenti: polenta, castagnacci e farinata la sera poi quando s'era cenato s'andava tutti a veglia nel metato". Molte sono anche le rievocazioni storiche legate alla coltivazione e al consumo della castagna e a questo propositiva detto che alla castagna è legata la tradizione delle sagre. La prima "Sagra della Polenta Dolce" risale al XVI secolo quando Vernio, in Val di Bisenzio, fu saccheggiata dai lanzichenecchi, truppe straniere che scendevano dal nord per andare a combattere la repubblica fiorentina. Il popolo fu messo alla fame ed il Conte Bardi, il cui castello era ben munito di scorte, nel vedere tanti stenti, decise di fare una distribuzione pubblica di polenta dolce, con aringhe e baccalà , nel primo giorno delle Ceneri. E ancora oggi, a distanza di secoli, fra le più importanti feste tradizionali dell'alto Val Bisenzio c'è proprio questa festa della prima domenica di Quaresima. Manifestazioni e sagre si sono estese da allora sull'intero territorio montano, e numerose testimonianze vivono ancora sulla montagna pistoiese collegandosi alle altre tipicità gastronomiche.
 


Autunno a Tavola

I prodotti del bosco nella cucina Toscana

I prodotti del bosco nella cucina Toscana - intrigante titolo della 1° rassegna enogastronomica Toscana - Autunno a tavola. Sei le Provincie interessate: Firenze, Siena, Pisa, Lucca, Prato e Pistoia, svoltosi dall'8 ottobre 2004 al 18 dicembre con 23 ristoranti. I menù composti da 2 antipasti, 2 primi, 1 secondo e 1 dessert. In ogni pietanza almeno un prodotto del bosco protagonista e/o cooprotagonista. E dunque... il bosco da ascoltare e scoprire: mormorio di torrenti, fruscio di venti fra i rami, scricchiolio di passi sul terreno secco… da gustare con gli occhi e non solo!!
E se è vero che l'occhio vuole la sua parte il naso non è da meno!… profumi unici ed intensi di: muschio, resine, fiori e lungo sentieri, più o meno invisibili che inducono a pensare ai fantastici abitanti del bosco: gnomi, folletti, fate e fattucchiere, ecco i piccoli e preziosi frutti del bosco anch'essi protagonisti, talvolta, in fiabe e leggende più spesso in cucina.
Fragoline di bosco, more, lamponi, mirtilli, ribes i più noti ma anche: uvaspina, cespugli di rosa canina fitti di bacche carnose, le sorbe, le nespole raccolte sotto le piante e fatte maturare al caldo, le prugne selvatiche e le prugnole, i frutti del giuggiolo, le coccole di ginepro, la corniola e quanti altri…
Il giavellotto di corniolo scagliato da Romolo per segnare i confini di Roma, appena raggiunto il suolo, pare mettesse radici, rami e fiori ad indicare la futura prosperità dell'impero, così narra la leggenda.
Certo è che il Platina, umanista, che si interessò di gastronomia ci indica il modo di preparare un ottima salsa di corniolo per accompagnare carne, selvaggina e pollame.
Ognuno ha una sua storia, tante proprietà naturali e benefiche per la nostra salute.
Piccole prede vegetali versatili in gastronomia, si trasformano in: marmellate, sciroppi, liquori, gelati; entrano nei primi piatti, in arrosti e salse apportando aromi e sapori insoliti.
Ottimi semplicemente al naturale arricchiscono di gusto e colore vari dessert.
Ne gode il palato!!
Ancor prima la vista attratta dagli intensi colori che regalano ad ogni pietanza.
Alberi maestosi, longevi, di grande splendore donano frutti particolarissimi e subito la mente va alla castagna, frutto romantico, evoca ricordi e scenari autunnali; particolare per la sua composizione che è più vicina a quella del frumento che non alla frutta.
Ed infatti è l'unico frutto che si trasforma in farina e che farina!!
Principale alimento per le popolazioni dell'Appennino ha sfamato per secoli intere generazioni.
L'opportunità, da sempre offerta, di preparare considerevoli varietà di cibi, talvolta senza nessun altra aggiunta che acqua e sale la confermano ancora protagonista attualissima nella cucina del territorio nei freddi mesi dell'anno.
La nocciola frutto selvatico il cui valore nutritivo è stato scoperto dall'uomo da tempi antichissimi.
Apprezzata da greci e romani; Catone ne raccomandava la coltivazione perfino negli orticelli cittadini.
D'inestimabile valore per tipiche preparazioni dolciarie, apporta originalità alle pietanze in cui è coprotagonista.
Il pinolo, chi non lo conosce?!, fa parte di tutto il paesaggio italiano.
I romani adoravano il suo aroma nel formaggio, ed Apicio lo indica quale alimento prezioso per preparare salse per carni e ripieni, Plinio scrive: "i pinoli spengono la sete, calmano i bruciori dello stomaco e vincono le debolezze delle parti virili"; è infatti da sempre considerato afrodisiaco dagli arabi.
Superghiotti di pinoli scoiattoli e crociere.
La noce frutto affascinante già nella forma simile al cervello gelosamente custodito dal mallo e dal guscio.
Fin dall'antichità l'albero del noce evoca simboli e magia, emblema di prosperità e abbondanza da sempre collegato alle cose d'amore: "Prepara nuove fiaccole, ti si conduce la sposa; spargi, o marito, le noci" - Virgilio. Le noci entrano in molteplici preparazioni tipiche dagli antipasti ai dessert, in salse originali e appetitose. Indispensabili per quella originalissima e tipica bevanda che conclude in bellezza numerosi convivi: il nocino.
E che dire dei prelibati e originali mieli di bosco!! oltre ai più conosciuti d'acacia e castagno, di corbezzolo di rododendro selvatico, di sulla e la stupenda melata d'abete… in abbinamento ai formaggi e a numerose pietanze.
Preziosi tesori del sottobosco: i funghi.
Porcini e ovuli ma anche galletti, mazze di tamburo, prataiolo gigante, chiodini e i meno conosciuti dormienti (la possibilità di gustarli è limitata al periodo aprile maggio).
Dopo i funghi un altro strano prodotto, non frutto ma tubero, incrostato di terra, umile alla vista superbo nell'intenso profumo, a detta di molti afrodisiaco, comunque impareggiabile: il tartufo.
Già noto a Babilonia e presso gli antichi romani, ricordato da Plinio il Vecchio.
Apicio (sempre lui…buongustaio!!), autore del "DE RE CONQUINARIA" lo definì "CIBUS DEORUM" e proprio come un alimento divino è raro e prezioso.
Molte le varietà di questo tubero che nasce in simbiosi sotterranea con radici di faggi, querce, pioppi, pini, noccioli, ecc. Dal preziosissimo bianco pregiato al nero pregiato, ancora il nero d'estate o scorzone, il nero uncinato o scorzone d'inverno, il bianchetto o marzuolo.
Nel '600 La Varenne raccomandava di cucinarli come i funghi, ma ogni varietà ha la sua tipica espressione culinaria: su crostini, a scaglie sui tagliolini, nei risotti, su vitello, manzo, grattato e/o sciolto in creme e… il suo inconfondibile sapore svolge sempre un ruolo unico. Come unici sono stati i colori, i sapori, gli odori, le sensazioni tattili e papillari, tipicamente autunnali, proiettate dalle tavole imbandite di questa rassegna enogastronomica e percepite quali modelli di vere e proprie opere d'arte.

 

 

 

 

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